Cronaca in diretta di un furto in casa
Un rumore leggero in cortile. Mi sveglio, c’è qualcosa di strano. Ma il rumore era lievissimo, è già scomparso. “Uno dei gatti dei vicini” mi rassicuro.
Mi rigiro nel letto. Lo sguardo corre alla sveglia luminosa sul comodino. Sono le cinque esatte della notte. Le persiane della finestra sono spalancate su di un buio spettrale. Sono alte sopra il lago. Non ci si può arrivare, perché chiuderle? Mi piace svegliarmi e vedere il lago d’Orta, là sotto. Fuori è inverno. Fa freddo, tanto freddo.
Un altro rumore. Sembra un piccolo motore a batteria…..ma no, deve essere il vicino. Non ha il riscaldamento e spesso esce la notte a prendere la legna per la stufa che ha ammucchiato sul terrazzino di fronte a casa mia.
Poi una piccola luce tonda si proietta sul muro della stanza in cui dormo, sale e scende sul muro e sull’armadio… “I fari di un’auto” mi rassicuro ancora.
Eppure, no, non è possibile. La strada su cui corrono le auto è sulla mia destra, in basso sul lago. La luce non proviene da lì. La luce proviene da sinistra, dal corridoio. Filtra attraverso la porta socchiusa della stanza, illumina l’ombra della notte. E si sposta.
“Quella luce si sposta!” A destra. A sinistra. Poi diventano due. Due luci tonde, due pile che danzano qua e là sulla parete. Uno scricchiolio. E una voce nella mia testa che grida
“sono entrati i ladri!”
No, non può essere, saranno le auto, saranno due fari…..Se “sono entrati” non voglio saperlo.
“Ma sono entrati!”
Sento qualcuno aggirarsi per casa. Non posso più negarlo. Sento il mio cuore esplodere, vuole uscire dal petto. Sono entrati. Ho paura. Tanta paura. Sono sola, nel buio.
Ho appena affittato la casa, non c’è telefono. Non c’è nessuno che io possa chiamare. Sono svizzera, appena trasferita qui sul lago. Il mio cellulare, anche lui svizzero, non può chiamare i numeri verdi italiani. Non posso quindi comporre il 112 come chiunque altro. Sono isolata, mentre di là, nel corridoio, degli intrusi si aggirano indisturbati. Perlustrano con la pila le stanze, gli armadi, la cucina…
Cosa posso fare? Cosa accadrà quando, fra uno, due minuti entreranno in camera e mi troveranno?
Guardo la persiana aperta. Forse posso scappare…..
“No, non serve uscire in balcone. Vedrebbero la finestra socchiusa, capirebbero subito. Nessuno lascia una finestra aperta in dicembre”.
“Voglio scappare!”
Ma in corridoio ci sono loro. Non è possibile.
Quante volte mi ero chiesta cosa avrei fatto in un caso simile? Dovrò fingere di dormire” avevo deciso. Adesso è ora di trasformare la teoria in pratica. Blocco le emozioni. Ordino al mio cuore di rallentare i battiti, di non far rumore.
“Dormire!”
Devo fingere di dormire. Debbo tenere gli occhi chiusi, debbo avere un respiro normale. Qualsiasi cosa accada debbo tenere gli occhi chiusi. Se non mi toccano forse ci riuscirò. E’ l’unica possibilità. Crederanno che io dorma. Se ho fortuna si accontenteranno di rubare. Se ho fortuna capiranno che in questa casa semivuota, ancora in attesa del mio trasloco definitivo, con le valige aperte a terra e le stanze sgombre non c’è davvero nulla. Capiranno che si sono sbagliati…o mi prenderanno a pugni. O peggio, a coltellate. Chi sono? Da che paese vengono? Sono di quelli che non hanno nulla da perdere e accoltellano per nulla o si accontenteranno di rubare quel poco che c’è?
Devo fingere di dormire e sperare che mi vada bene. Devo convincermi che
“Non ho più paura!”.
Non posso permettermi di averne. Devo credere che mi penseranno addormentata. Devo crederlo o il cuore cercherà nuovamente di uscire dal petto, il respiro si farà ansante e capiranno che sono sveglia. E allora…..
Non ho più paura, non posso permettermi di averne.
All’improvviso arriva. Un rumore quasi assordante. O forse soffocato, ma a me è parso assordante. Hanno aperto la porta della camera. Uno di loro è entrato.
Un’ombra umana alta e nera si staglia nell’ombra della stanza, meno scura ora. La pila danza sul muro, sugli oggetti, sui mobili. L’ombra nera allunga una mano, trova la mia borsa, l’afferra. Si china sulla valigia aperta, rovista, cerca. Poi si gira e mi vede. Si immobilizza.
Si avvicina camminando lateralmente, lentamente. Non fa alcun rumore. Sopra le scarpe porta spessi calzettoni di lana che rendono silenziosissimi i suoi passi.
Si ferma davanti a me, stesa nel letto su un fianco. Una posizione che ho scelto perché mi pareva più sicura. Non a pancia in sotto, non potrei vederlo. Non a pancia in su, sarei completamente indifesa….lo guardo con un solo occhio leggermente socchiuso.
La pila è rivolta verso terra. Lui è immobile la pila in una mano, l’altra mano lontano dal corpo, pronta a colpire.
Il mio cuore ha capito, batte piano. Il mio respiro ha capito, pare naturale. O così credo.
L’ombra nera alza la mano, le dita divaricate, pronta ad afferrarmi. La mano sinistra.
“È mancino” registra automaticamente la mia mente.
La pila esplora il bordo del letto. L’ombra nera vuole illuminarmi poco a poco, vedere cosa succede. Forse non capisce perché io me ne stia così buona. E’ certo che io non stia dormendo ma non può fare rumore, nel caso, nonostante tutto, io stia davvero dormendo.
“Devo chiudere completamente gli occhi”
Se non lo faccio so che si accorgerà entro un attimo che lo sto osservando da quella fessura ancora aperta fra le palpebre socchiuse che la luce della pila sta per raggiungere.
Eppure, chiuderli è estremamente difficile. Chiudere gli occhi significa affidarti a chi ti sta davanti senza poter controllare cosa stia per accaderti. Quella cosa diritta nella sua mano è un dito puntato o un coltello? Non lo so.
“Ma non ho scelta! Devo chiudere gli occhi. Adesso!”
Ancora una volta la mente vince sul cuore. Respiro profondamente, come una persona che dorma, tengo gli occhi chiusi senza serrarli. Devo apparirgli naturale.
L’ombra nera è immobile. Un secondo, forse due. La cognizione del tempo è alterata, sembra trascorra un’ora. Di colpo emette un sospiro e sui miei occhi si proietta una luce improvvisa, violenta.
Ha capito che sono sveglia, lo so. Vuole controllare, esserne sicuro. La pila resta ferma, puntata sugli occhi. Ho un decimo di secondo per decidere. Respiro un po’ più forte, quasi fossi stata infastidita nel sonno. Poi riprendo il ritmo di prima. La mia mente registra le emozioni del cuore, le blocca prima che possano emergere e tradirmi.
“Adesso mi metterà le mani sul collo, adesso mi accoltellerà….adesso!”
ma ancora la mente impedisce al cuore di esprimersi. Non mi muovo. Respiro normalmente. Tengo gli occhi chiusi. Ed aspetto. Passa un secondo, forse due. Oppure un’ora? Oppure un mese?
La pila si sposta dal mio viso, punta nuovamente verso terra.
La fessura fra le mie palpebre si riapre, solo un istante, solo un millimetro. Vedo la mano dell’ombra nera scattare verso un tavolino, afferrare il mio cellulare e gli anelli che la sera prima vi avevo appoggiato.
La mano si abbassa. L’ombra lentamente ritorna sui suoi passi, a ritroso. Il filo dell’auricolare si stacca dal cellulare, cade a terra con un leggero rumore. L’ombra non se ne cura. Esce dalla camera, tira a sé la porta, quasi a richiuderla. La pila si agita qualche istante nel corridoio, incontra un’altra pila. Poi entrambe escono di scena.
Apro lentamente gli occhi, guardo la sveglia luminosa. Segna le 5.16.
L’incursione è durata 16 minuti dunque. Sedici minuti di terrore allo stato puro.
“Sono andati” mi dice la mente. Sono andati, hanno accettato la mia commedia.
Il cuore si libera dai legami della mente, inizio a tremare come una foglia sotto il piumino azzurro. La mente si riempie di vivo terrore, quello che finora era riuscita a tenere in sospeso. Il cuore si è impadronito di lei, come la mente aveva fatto del cuore pochi attimi prima. Guardo la porta della stanza.
Potrebbero essere là fuori in cortile. Ci sono altre case, forse entreranno anche in quelle…
Guardo il tavolino, nessun telefono.
“Non posso chiamare aiuto”
Devo alzarmi, scoprire cosa hanno fatto….
“Non mi alzerò. Potrebbero essere ancora là fuori”
Ma la porta d’ingresso è aperta ne sono sicura, Aperta sul cortile, sulla notte, sul freddo. Dovrei chiuderla….
Non mi alzerò lo stesso. Ho paura adesso, una paura irrazionale.
Verrà il mattino, la luce dissolverà le ombre della notte, quelle vere e quelle umane. Allora mi alzerò, allora forse troverò il coraggio di alzarmi. Ma ora no.
La porta di uscita di casa mia è aperta, lo so. Fa sempre più freddo.
“Ma non mi alzerò”
Un raggio di sole sparuto e dicembrino si fa lentamente strada fra le ombre della notte. La sveglia luminosa mi conferma che sono le 7.30.
“Gli operai” mi ricorda la mente “gli operai stanno per arrivare”.
E’ vero. Gli operai del comune stanno sistemando la strada del paese, di solito iniziano il lavoro a quest’ora. Lentamente mi tiro a sedere sul letto.
Devo farmi coraggio. Le ombre nere non possono essere ancora là fuori, è giorno ormai. È ancora buio, certo, ma è giorno.
Lentamente metto un piede a terra, poi l’altro. Ho paura. Ho una irragionevole, folle paura.
“Le impronte” penso di colpo. “Hanno toccato la maniglia della porta, se ho fortuna ci saranno le impronte”.
C’è una sciarpa sulla sedia. La prendo, la userò per toccare le cose che dovrò toccare. Il minimo indispensabile. Fa freddo. “Devo uscire, cercare gli operai, chieder loro di chiamare la polizia….”
La mano si tende verso l’attaccapanni all’ingresso. Sorpresa, scopro che il cappotto è scomparso. Era “firmato”, cosa mi aspettavo? E’ rimasto solo il giaccone di pelle, vecchio, malconcio. L’ombra nera sapeva scegliere.
Guardo la porta d’ingresso. E’ quasi accostata, pezzi di serratura giacciono attorno, testimoni muti di una violenza silenziosa. Le chiavi sono sparite.
Infilo il giaccone, esco nel buio solcato da infreddoliti raggi d’aurora. Torsoli e bucce di cachi mi sorprendono, abbandonati sui gradini dell’ingresso.
“Avevano fame” Hanno fatto colazione con i frutti ormai congelati del giardino colti dall’albero mentre scassinavano la serratura. Fame o sicurezza di sé?
Debbo provar quasi pena per loro, per la loro fame, o rabbia per la sfrontatezza con cui operano?
La mia auto se ne sta fra le ombre svanenti del primo mattino, testimone muto dell’accaduto, le portiere spalancate, un sedile rovesciato, il cassetto del cruscotto aperto. Nessuno ha toccato la stampante che avevo lasciato nel baule. Le stampanti usate non valgono nulla al mercato nero.
Accanto, nel portico la mia borsa, capovolta. Sulle lastre di sasso umide di brina è sparso tutto il suo contenuto. Tutto tranne i soldi.
Curioso. Avrebbero potuto portare la borsa con loro, gettare tutto a lago. Ma l’hanno lasciata. Allora forse è vero, l’ombra nera aveva capito. Aveva capito che ero sveglia, aveva capito che avevo scelto di non crearle problemi. Così mi ha restituito tutto quanto non poteva usare.
Le carte di credito sono sparse a terra. Non avrebbe potuto utilizzarle comunque.
Sul sedile dell’auto giacciono le chiavi. Non servono più. L’ombra nera sapeva che già oggi la serratura verrà cambiata. Succede sempre nei luoghi in cui lei compare la notte. Non le ho creato problemi. Non ne ha creati a me. No, non è vero. Il cuore ora vince sulla mente. Mi siedo sul gradino al freddo, tremo sempre di paura repressa. Per quanti mesi ancora rivedrò l’ombra nera accanto al mio letto? Riuscirò mai a liberarmi di lei, delle sensazioni di quella notte? No, vincerà il cuore. L’ombra nera mi resterà accanto per sempre, mi resterà accanto ogni notte, riapparirà davanti a me per tutti i prossimi anni, fra le ombre di tante notti, nere come quella trascorsa, nere come lei.
Accadde a Corconio di Orta San Giulio, il 23 dicembre 2005. Quasi vent’anni fa. Impossibile da dimenticare.